Di Massimo Merlino, Presidente Visabit
Secondo lo schema dell’esperto di Management americano Chris Skinner, le fasi di sviluppo del settore Fintech sono:
- Disruption, quando nascono le prime iniziative – in genere più da esperienze tecniche che finanziarie – e si crea una situazione di grandi aspettative derivanti da un nuovo modo di lavorare che rivoluziona il settore, con forte aggressività delle nuove imprese e reazioni di resistenza al cambiamento delle attività finanziarie tradizionali. Nei Paesi più avanzati questa fase si posiziona nel 2005, in Italia circa 10 anni dopo.
- Discussion, quando le nuove start -up Fintech impattano con le reali difficoltà, cultura dei potenziali clienti e normativa specifica del mercato finanziario e le imprese tradizionali cominciano a capire che possono incorporare alcune di queste nuove per migliorare i loro servizi e recuperare nei segmenti più giovani di clientela (millenials). In Italia questa fase si considera iniziata nel 2018.
- Partnership and collaboration, quando imprese finanziarie tradizionali e nuove Fintech diventano consapevoli di un mutuo interesse derivante da alleanze e collaborazioni, in un concetto di open banking, di ecosistema che evolve insieme.
- Open financial system, un’innovazione che pervade l’intero mercato finanziario dove le distinzioni tra le attività si armonizzano in una nuova cultura finanziaria e tecnologica diffusa. Questo step sarà pienamente realizzato tra due o tre anni nei Paesi di punta, mentre l’Italia deve cercare di chiudere il gap decennale, e si prevede possa arrivare a questo punto attorno al 2025.
Il settore Fintech, secondo il bellissimo recente report “Fintech calls for fuel” dell’Ossevatorio Fintech di PWC, soffre in Italia di carenza di investimenti, e quindi di redditività molto bassa, scarsa concentrazione di imprese, poca sistematicità di supporto da incubatori o hub finanziari.
In particolare, le Banche vengono accusate di investire cifre trascurabili, 93 milioni di €, rispetto agli investimenti nei loro sistemi ICT tradizionali e alla loro manutenzione. Infatti una maggiore attenzione al Fintech, secondo il rapporto, aiuterebbe le Banche a fare più business superando con la tecnologia i vincoli culturali, organizzativi e normativi che le appesantiscono nelle loro capacità imprenditoriali. Dal settore Fintech arriverebbero energie fresche, creatività e innovazione tecnologica in grado di dare una spinta di rivitalizzazione dei settori Banche e anche Assicurazioni.
Inoltre, senza reale osmosi e collaborazione, la gran parte delle attività Fintech rischiano notevoli problemi di compliance con le regole specifiche del mercato italiano ed europeo, da cui il recente sviluppo di iniziative definite Regtech, cioè di tecnologia applicata alle norme finanziarie, che regolano ad esempio l’identificazione sicura di un cliente (adeguata verifica) e le attività di contrasto a riciclaggio e terrorismo.
Visabit si colloca tra le migliori realtà in termini di completezza e di mobilità attraverso smartphone: si tratta di vere e proprie gateway, porte di accesso al sistema regolato, come un’area di controllo di un aeroporto dopo 11 Settembre: le soluzioni Regtech dovrebbero costituire una sorta di bocchettone di aggancio per tutte le applicazioni Fintech e di System Integration al mercato finanziario. Questo settore è il più giovane e meno sviluppato per ora con grande potenziale di crescita, proprio per la scarsa integrazione per ora avvenuta tra cultura finanziaria e cultura tecnica e per insufficiente focalizzazione sui reali bisogni di un cliente che si avvicina a un investimento o all’acquisizione di un bene di valore.
Le soluzioni Regtech dovrebbero costituire un gateway per tutto il sistema: una sorta di bocchettone di aggancio per tutte le applicazioni Fintech e di System Integration al mercato finanziario
Senza la crescita di questo settore tutto lo sviluppo del Fintech secondo il modello di Skinner rischia tempi molto più lunghi, e l’Europa spinge per non essere tagliata fuori nel panorama finanziario internazionale.